La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino: correva l’anno 1984, arriva il Rosso di Montalcino (parte 3)
di Stefano Cinelli Colombini
da Intravino
Per giocare un po’ vi racconterò i “dieci giorni che sconvolsero il mondo” del Brunello, i dieci eventi che hanno fatto del nostro grande Sangiovese quello che è. E che nessuno ricorda…. forse perché tutti preferiscono le favole? 1984, nasce il Rosso di Montalcino. Parte terza.
Nel 1984 il Brunello era già DOCG, viveva una crescita continua di prezzi ed era venduto a milioni di bottiglie su tutti i principali mercati del mondo. Stava (con due dei suoi marchi più storici) per essere incluso nei 100 migliori vini del mondo di Wine Spectator alla prima New York Wine Experience; due Brunelli furono messi sullo stesso piano di miti come Petrus, Lafite o Latour, la consacrazione definitiva sul palcoscenico più importante.
Era un riconoscimento dovuto perché il Brunello era ormai riconosciuto come “Il Grande Vino Italiano” in ogni angolo del mondo, degno rivale dei mitici Borgogna e Bordeaux. Una vera icona del Made in Italy, una storia di successo ma con basi fragili, molto fragili; Montalcino produceva un solo tipo di vino, diverso da ogni altro e molto caro. Già questo era rischioso, ma lo era ancor di più se consideriamo che l’intera economia del territorio si reggeva solo sul Brunello. Se il mercato non l’avesse voluto più sarebbe stata la rovina, e il ricordo della disperazione degli anni ’60 era molto fresco.
Poi, dal Consorzio del Brunello presieduto da Enzo Tiezzi e dal Comune di Montalcino di cui era Sindaco Mario Bindi, emerse un’idea: il Rosso di Montalcino. Era la prima “DOC di ricaduta” del mondo, un vino che si poteva fare declassando parte del Brunello. Un’innovazione geniale, era nato un secondo vino di alta qualità ma di fascia di prezzo più bassa che poteva essere messo sul mercato un anno dopo la vendemmia.
In questo modo si ottenevano abbastanza utili da pagare tutti i costi dell’azienda, e le aziende potevano permettersi il lusso di aspettare e vendere il Brunello solo al prezzo migliore. Il risultato? Più di due decenni di crescita dei prezzi. Finalmente non eravamo più legati al solo mercato del lusso, avevamo due prodotti e presto quasi tutte le aziende aggiunsero i vini da tavola toscani.
Montalcino ora si reggeva su tre vini diversi per qualità e prezzo, era la vera quadratura del cerchio; aveva sia la ricetta della stabilità che quella della crescita. Questo meccanismo quasi perfetto andrà in crisi con la – diciamo – non abbastanza meditata apertura degli Albi. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò più avanti.
PS: queste brevi “note di storia” di un mito vogliono evidenziare un fatto; dopo ogni crisi Montalcino si rialza, e cresce ancora di più. Perché? Perché Montalcino non è una terra, è un modo vitale di essere condiviso da gente che sceglie di vivere qui. Sia che ci sia nata, o che ci sia venuta. È così perché Baricci, Banfi, Soldera, Biondi Santi, Frescobaldi, Cencioni, Schwarz, Colombini e tanti altri sono (o sono diventati) Montalcino. Ed è unico, perché questo accade solo qui.
Per leggere tutte le puntate:
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino (parte 1)
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino | Correva l’anno 1980 (parte 2)
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino | 1984, arriva il Rosso di Montalcino (parte 3)
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino | 1933, il primo boom di vendite del ‘900 (parte 4)
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino | Banfi sbarca in città: 1979, 1981 o 1969? (parte 5)
La storia “dimenticata” del Brunello di Montalcino. 1980-1990, il D-Day in salsa sangiovese; i “grandi del vino” sbarcano a Montalcino (parte 6)